martedì 29 marzo 2016

Il mio "Imprinting"

“Non sembri italiana.”
“Me lo dicono in molti, comunque sono per metà francese.”
“Ah non mi dire. Ma è vero che i francesi non hanno il bidet a casa?”
“…….”


Dai. Veramente questo è tutto quello che devo sentire? Ce ne sarebbero di cose interessanti da chiedere, come il perché ho scelto di vivere in Italia e non in Francia, in che lingua penso o in che lingua sogno, se è stato difficile imparare due lingue contemporaneamente quand'ero bambina, e molto altro. Ma in realtà cosa si prova?

Avere la doppia cittadinanza è come vivere con dei genitori divorziati: vivi a casa di uno ma senti spesso nostalgia dell’altro, e sei costantemente portato a dimostrare che vuoi bene a tutti a due, senza preferenze, anche se in fondo una preferenza ce l’hai.
Per me l’Italia è questo e molto di più. Ci vivo, la vivo ed è la mia casa, ma pensando ad un’idea di “imprinting” come quella di un’impronta nella memoria, non posso che ricondurla alle vacanze in Francia. Nonostante la mia famiglia viva nel dipartimento del Gard (non molto lontano dal famoso acquedotto), quindi nel Sud, uno dei luoghi a cui rimango più legata è sicuramente la casa di famiglia di mio nonno a Septmoncel, piccolissimo comune nella regione della Franca Contea, al confine con la Svizzera, caratterizzata dal Massiccio del Giura, catena montuosa che ricopre maggior parte della regione.In questo luogo ho trascorso gran parte delle mie estati, fino ad una decina di anni fa, quando i miei nonni hanno deciso di vendere la proprietà. 




La casa e quel paesaggio quasi incontaminato, hanno un duplice significato per me, da un lato quello di un grande nido familiare, dove tutti insieme ogni anno ci ritrovavamo, e dall'altro il mio primo contatto con la natura, molto più vasta e complessa rispetto a quella che potevo incontrare tutti i giorni.
La casa era isolata, situata al di sopra di una collina da cui si estendeva un’interminabile prateria verde che culminava in un piccolo bosco, ma a sua volta la collina era circondata da altre colline e montagne ben più alte. Sono passati diversi anni, e i miei ricordi sono legati ad un’età infantile in cui si ha ancora poca percezione degli spazi, ma ciò che ricordo meglio è quanto tutto sembrasse così grande rispetto a me,  le montagne di cui difficilmente riuscivo a scorgere la fine, e la casa stessa. Originariamente la casa era in realtà una fattoria, ma poi mio nonno decise di trasformarla in una grande abitazione, creando delle stanze e rinnovando gli impianti elettrici, mantenendo però la semplicità rettangolare della fattoria. La casa era divisa su due piani: il primo piano aveva un grandissimo soggiorno, in cui spesso mangiavamo in più di venti persone, la cucina, due bagni e una stanza dove tenevamo la legna per accendere i diversi camini, mentre al secondo piano c’erano tutte le camere da letto, che se non ricordo male dovevano essere almeno 6. I lavori non erano certo quelli di una mano d’opera esperta, si vedeva, ma tutte quelle piccole imperfezioni la rendevano, ai miei occhi, bellissima.




Nonostante mio nonno avesse rifatto completamente l’impianto elettrico, la casa era quasi del tutto priva di tecnologia: niente televisione, niente videogiochi, solo la radio e qualche vecchio cellulare per le comunicazioni necessarie, e a tutti stava bene così. Era come un tacito rispetto per questa casa così antica o forse era solo una scusa per staccare dalla vita frenetica di tutti i giorni. Le giornate le trascorrevamo principalmente facendo escursioni, in un paesaggio che si componeva delle verdi conifere dei boschi e del bianco splendente delle rocce calcaree, che affioravano continuamente. Mia nonna mi teneva per mano e mi ripeteva i nomi dei fiori che vedevamo camminando, nel (vano) tentativo di farmeli imparare, ma spesso venivo distratta dagli scherzi dei miei cugini o da chissà cosa. La sera tornavamo a casa a mangiare, poi rimanevamo ore a giocare a carte o ai giochi di società. Tranne la sera del 14 di luglio, quella sera ce ne stavamo fuori tutti insieme a guardare i fuochi d’artificio.

La bellezza di un “luogo della memoria” è che si imprime su vari livelli, emotivi principalmente ma anche olfattivi e uditivi per esempio, e nonostante gli anni trascorsi è ancora lì, vivido.

Forse per quello è così impressionante.